Sembra esserci, nella storia di quando BNL era la “maggiore banca di proprietà dello Stato”, un fil rouge – rosso come il colore del mondo del lavoro nel secolo passato – che l’ha attraversata dalla nascita fino alla vigilia della privatizzazione.
Valerio Castronovo, nella sua Storia di una Banca, attribuisce la paternità ideologica della BNL a Luigi Luzzatti, un economista liberale per il quale “di fronte alle banche per le classi agiate, dovevano esserci quelle per le classi disagiate”. Giolitti capì il messaggio e a ferragosto del 1913, in Sant’Anna di Valdieri, Vittorio Emanuele III, tra una battuta di caccia e l’altra, firmò il decreto fondativo dell’ Istituto Nazionale per il Credito alla Cooperazione, poi divenuto Banca Nazionale del Lavoro.
Nei decenni che seguirono, la Banca, anche attraverso le Sezioni di credito speciale – a cominciare da quella alla cooperazione – interveniva nei settori in cui il Paese si andava sviluppando. Cresceva il Paese e con esso la BNL, ma quando, con la liberalizzazione del mercato, la competizione impose dimensioni adeguate, la banca si trovò – come disse Giuliano Amato – a non essere “né grande né piccola” e a doversi perciò irrobustire.
Un tentativo di sinergia istituzionale con il mondo cooperativo delle allora Casse Rurali ci fu all’inizio degli anni ottanta, ma presto naufragò, nonostante i vantaggi di ampliamento della clientela per BNL e quello dell’offerta ai soci delle Casse.
Sembrò, invece, potesse avere successo l’iniziativa che il 29 giugno 1989 prese il consiglio di amministrazione guidato da Nerio Nesi e nel quale sedevano come partecipanti, insieme al Tesoro, i presidenti dell’INPS e dell’INA, approvando un protocollo d’intesa tra i tre Istituti: il cosiddetto “Polo” creato per sostenere da un lato il rafforzamento patrimoniale ed operativo della banca, e dall’altro per inserirsi nel nascente mercato della previdenza integrativa.
Sarebbe stato un “colosso” pressoché imbattibile grazie al know how finanziario di BNL, a quello assicurativo dell’INA e quello dei flussi, ma anche della dotazione di un archivio dei milioni di lavoratori italiani, posseduto dall’INPS. Tutto, mentre Cuccia lavorava per un’ ampia aggregazione finanziaria intorno a Gemina.
Ma il governo, che aveva in qualche maniera approvato il patto, cadde e il nuovo ministro del Tesoro, Guido Carli – il quale in Senato aveva in precedenza invitato i vertici BNL a frequentare Matera piuttosto che cercare nuovi mercati nel mondo – era, come ha scritto Castronovo , “di tutt’altro. orientamento” e il 30 luglio l’Unità, annunciando per il 2 agosto il “match Nesi-Carli”, invitava a “non sottovalutare la profondità degli interessi economici e politici in gioco”.
Una decina di giorni dopo arrivò inaspettata la vicenda “Atlanta”. Divamparono le polemiche e non tutti quelli che potevano furono accanto alla Banca. Nesi, autonomamente, si dimise da presidente e Giacinto Militello che guidava l’Inps commentò subito con amarezza: “il Polo è finito”.
Il fil rouge annodato da Luzzatti si spezzò forse proprio nella tensione di quegli avvenimenti che non sembrarono indipendenti tra loro.
RT